M: Buongiorno, Difaul
D: Ciao, M.
M: E' un pezzo che non ci vediamo
D: Direi di si... almeno cinque-sei settimane, no?
M: Non saprei. Da quando siamo andati a picchiare L. Ad ogni modo, è un piacere rivederti.
D: Idem. Mi ero un po' stancato di parlare da solo.
M: Non sapevo parlassi da solo
D: Invece lo faccio. In un certo qual senso lo sto facendo anche adesso. Però ora lo faccio fingendo di non farlo, mentre in genere parlo da solo e basta.
M: Non è una cosa insolita. Nemmeno del tutto normale, però.
D: Dipende da cosa intendi
M: Per favore, non entriamo un altra volta in quel discorso sulla normalità. Sai benissimo come è finita l'ultima volta
D: Non è stata colpa mia. Certi buchi neri sono inevitabili.
M: Questa è tutta una questione di punti di vista. Dovresti ripassare la nozione di "tatto".
D: Va bene. Ad ogni modo: di cosa volevi parlarmi?
M: Non lo so. Sei tu che stai usando il trucco del dialogo fittizio per non usare quello della divagazione continua
D: Come lo sai?
M: Vuoi davvero continuare con questo pseudo-interrogatorio? Sai benissimo come finirebbe. E abbiamo già chiarito la situazione abbastanza. C'è una sola tastiera, dieci sole dita, e l'opposizione di due lettere maiuscole non basta a trasformare in un vero dialogo un soliloquio.
D: Ma non è tutta la letteratura un soliloquio? Non si può dire che ogni grande autore "parla da solo"?
M: No. Sarebbe più corretto dire che ogni autore è moltitudine. E comunque: sarebbe carino se non facessi l'ingenuo.
D: L'hai detto tu stesso. Per scrivere compiutamente bisogna moltiplicarsi. Per moltiplicarsi, bisogna dividersi, dacché ciascuna delle voci non potrà più pretendere di rappresentare la totalità. Dunque, per ottenere un certo tipo di onestà non c'è che essere disonesti. O meglio, ingenui in mala fede. L'ha detto Oscar Wilde.
M: "La decadenza della menzogna". Un bel libro.
D: Esatto. Ad ogni modo, ora che abbiamo ridotto la sospensione dell'incredulità ad un colabrodo, puoi anche dirmelo: perché sei qui?
M: Per fare il punto. Che altro?
D: Sapevo che ci saremmo arrivati, prima o poi.
M: Già. Comincio?
D: Comincia
M: Ricapitolando: Hai aperto un blog discettando sul fatto che forse ti sentivi un po' in colpa per aver aperto un blog. Hai speso diversi post a spiegare il perché e percome e l'intenzione generale. Corretto?
D: Si, in sostanza. Era per rompere il ghiaccio...
M: A me sembra comunque un po' troppo meta. In seguito hai scritto alla spicciolata di metafore e di pubblicità... sembravi andare bene con la cosa della lettura della realtà. Ma poi ti sei perso. Ti sei messo a scrivere di cultura, anche se in modo leggermente dissacrante, di linguaggio e retorica, di Dada, psicanalisi e Zen... per poi infilare una serie di pezzi che sembrano ripiegati su se stessi, falliscono le aspettative che hanno costruito e divagano compulsivamente. Corretto?
D: Beh, si.
M: Mi sembra che le conclusioni possibili siano poche: o avevi una idea estremamente vaga fin dall'inizio, che correggi alla bell'e meglio andando avanti, o avevi una idea precisa, ma del tutto eccessiva rispetto ai tuoi mezzi, che quindi tradisci costantemente.
D: Guarda che un blog non è un trattato. Non c'è bisogno che sia diviso in capitoli e ordinato. Io volevo partire dal reale, organizzare ripensamenti. Alla fine sai benissimo che la mia versione di metodo e disciplina comprende un certo grado di inconsapevolezza ed eterogenesi dei fini. Volevo esemplificare un modo del pensiero,
M: Certo. Ma quando c'è di mezzo il linguaggio deve perlomeno esservi un sistema di echi che si rispondano. Non puoi fare le prove col sipario aperto, se capisci ciò che voglio dire. E poi, correggimi se sbaglio, non si era partiti dal sistema? Non c'è un aspetto politico di tutto questo?
D: Certo! Ed è essenziale! Non è possibile pensare coerentemente la letteratura senza politica, o la politica senza filosofia, o la psicanalisi senza letteratura eccetera.
M: Qui ti volevo. Perché allora non c'è politica nel blog? Perché non si parla di tattiche, di strategie, e sempre di "modi di vedere", di "modi di pensare", di spettacoli, rappresentazioni, linguaggio e verità? Che ruolo hanno in tutto questo la violenza, il corpo, il potere e la sopraffazione?
D: A dire la verità, quanto al potere se ne è parlato. Anche un paio di volte.
M: Ma in termini generali. I riferimenti specifici sono solo allusioni
D: Ma certo. Io so che tu forse fai fatica a capirlo, ma siccome si tratta essenzialmente di un soliloquio, con che diritto trarrei conclusioni operative? Posso fare dell'introspezione, o dell'analisi concettuale, da solo, non certo organizzarmi. Gli interventi di cui parli tu possono essere fatti solo su mandato di una collettività. Oppure prendendosi le proprie responsabilità, con nome e cognome, come membri legittimi di una collettività.
M: E tu invece?
D: E io invece ho uno pseudonimo. E per esempio, adesso sto parlando con me stesso.
M: Perché?
D: Perché il punto non è prendere posizione, ma rendersi conto di quale sia il piano del confronto, per muoversi sul suo rovescio, o per aprire crepe, se occorre.
M: Eccoti che ricominci con le misticherie. Ecco, mi ero scordato di dirti che scivoli sul mistico troppo spesso. Ciò è ideologicamente sospetto.
D: Certo. Proprio perché l'annullamento mistico del linguaggio è uno dei perni intorno ai quali può ribaltarsi il piano di realtà. Per esempio, si può decentrare l'IO o il NOI per articolare i propri concetti a partire dalla nozione di totalità armonica. Attivare o disattivare "fuochi" mitici... Non sei d'accordo che si tratta di uno strumento potente?
M: Certo. E antidemocratico, anche.
D: Beh, non ci sono che io, qui. E non ho mai preteso di avere con me stesso un rapporto paritario. Lui decide e io faccio. Il meglio che posso.
M: Va bene, allora. Ma che farai quando si tratterà di discutere davvero con qualcuno? Di sostenere delle vere ragioni, e non delle intuizioni? Di difendere la propria posizione, non di disincarnarsi in cerca di aporie?
D: Quello che fanno tutti. Mentirò.
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