05/03/15

Preconcetti, pregiudizi e reazioni filosofiche allo spleen

Avvertenza: Oggi, per alleggerire il discorso dopo la macchinosità di Militansia, volevo scrivere una cosa leggera, autobiografica. Inutile dire che non ci sono riuscito: ho toccato inavvertitamente un nervo scoperto e quello che segue è il risultato. Buona lettura.

Coloro che non sanno nulla di filosofia, curiosamente, tendono ad avere riguardo ad essa atteggiamenti opposti. Da un lato vi sono coloro che considerano la filosofia un passatempo, un'attività umana legata al “pensiero” o alla “riflessione”, affine ai sogni ad occhi aperti o alla scrittura di romanzi. Dall'altro, vi sono coloro che la considerano una disciplina bizantina, astrusa, una forma di masturbazione cerebrale totalmente incompatibile con la vita reale.
I primi ed i secondi hanno in comune il fatto di non riuscire a concepirla come disciplina professionale, e tuttavia tale difficoltà deriva nei due casi da considerazioni opposte: i primi non vedono come un passatempo gradevole ma tutto sommato ozioso possa diventare un lavoro, i secondi, anche se magari non mancano di osservare la fatica del lavoro filosofico, non riescono a vederne l'utilità e dunque denunciano la fatica sprecata del filosofo.
Il risultato, che chiunque abbia frequentato una facoltà letteraria conosce, è uno sguardo di corrucciato sdegno, oppure di sorridente compassione che accompagna una domanda: “ma cosa intendi fare, dopo?”, o anche “ma a che serve la filosofia”, a volte accompagnata da un sognante “comunque è bella. Io volevo farla, prima di decidere per Optometria”.



Alcuni giovani filosofi rispondono a tali domande sperticandosi in lodi della millenaria disciplina di cui sono eredi, altri condannano il mercato del lavoro che li esclude, alcuni esposti da più tempo alla serie dei microtraumi prodotti dalla ripetizione dell'episodio con parenti ed amici si prendono la testa fra le mani e scoppiano a piangere. Torneremo poi sulla condizione psicologica di questi poveretti da cui infondo non dipendono le sorti del pianeta.
Ciò che ci interessa, infatti, è capire quali sono i presupposti di una tale disposizione di pregiudizi. Dopotutto abbiamo imparato da Gadamer che il pregiudizio è un presupposto fondamentale di ogni sforzo interpretativo, e se un giorno l'opinione mainstream sugli studi filosofici dovesse cambiare, ciò si verificherebbe per una mutazione dei presupposti retorici e strategici che ad ora impediscono tale cambiamento. Andiamo schematicamente e usando degli esempi per rendere il tutto più scorrevole.

Gadamer

L'utilità innanzitutto

Spesso le domande ingenue si rivolgono all'utilità: a cosa serve la filosofia? che cosa ci si può fare? Ogni tentativo di risposta positiva a tali domande risulta vano: la filosofia non è utile, né potrà mai esserlo, per i motivi che andiamo ad illustrare.
Esempi: Il demonietto di Socrate descritto nell'apologia è una “voce interiore che, ogni volta che si fa sentire, sempre mi dissuade da qualcosa che sto per compiere, e non mi fa mai proposte”. Di conseguenza Socrate stesso se ne va in giro per Atene replicando il comportamento del suo demone: incontra una serie di sapienti, nominalmente esperti nella gestione di qualcosa, e gli fa domande fino a che questi non si rendono conto di non sapere più di cosa si sta parlando. L'ambizione di Socrate è conciliare il suo non sapere di sapere con il detto della Pizia, che a nome di Apollo lo designa l'uomo più saggio di Atene. Pensa di avercela fatta – al punto che sostiene di meritarsi un posto nel Pritaneo – e invece lo uccidono con la cicuta. Addirittura, sventa un piano per salvarlo convincendo coloro che ci provano che non ne vale la pena, qualificandosi così come il peggior escapista della storia.

Dilettante...

Che cosa c'è di utile in tutto questo? Assolutamente nulla. Secondo la nozione contemporanea di utilità, che va a braccetto con l'efficacia nel raggiungimento di un obiettivo dichiarato (spesso fare soldi), Socrate è il vero antieroe. Non nel senso che è un eroe – determinato ed efficace, come Sam Spade o Snake Plisskeen – reso atipico da una morale vacillante e da una certa cupezza, ma nel senso che non ha alcun piano, ed anzi passa il suo tempo a rilevare le contraddizioni delle posizioni altrui.

Il filosofo, se dobbiamo dare retta all'esempio socratico, non è solo inutile: è controproducente. La posizione della disamina teorica implica una presa di distanza radicale dall'oggetto, una spinta in direzione contraria a quella della vita vivente – un noto nazista diceva persino che la filosofia si riduce ad un prepararsi alla morte – che mette in questione il problema stesso dell'utilità. La maggior parte dei filosofi – al di là della botta di fortuna di Talete con le olive – vive in maniera ritirata e infelice e guadagna pochissimo.


In secondo luogo, la questione del piacere.

Sfatiamo un mito: i sogni ad occhi aperti non hanno nulla a che fare con la filosofia. La filosofia, anzi, nasce contro le opinioni, e rimane in generale assai diffidente rispetto al mito e alla rappresentazione. La filosofia è una disciplina, e una disciplina è una forma che delimita la legittimità di alcune operazioni intellettuali e l'illegittimità di altre.
E allora, da dove deriva l'equivoco? Dal fatto che la filosofia come disciplina eredita proprio da linguaggi eterogenei – dal mito, dalla religione, dalla matematica, dalla grammatica – i temi e gli strumenti che prova ad omogeneizzare. Identificandola con tali contenuti o strumenti, prescindendo dall'aspirazione alla connessione organica di questi in un orizzonte concettuale, si può dire che vi è della filosofia (implicita?) nella poesia, nei romanzi, nei sogni ad occhi aperti, nella teoria della relatività e nella politica economica del governo. Il fatto che diverse prospettive filosofiche che si contendano la preminenza in ogni epoca sulla base di una maggiore efficacia nel costruire un orizzonte di senso coerente evidenzia nello stesso tempo la pluralità (forse irriducibile) degli approcci e il fatto che ognuno di essi aspiri ad una validità generale capace di armonizzare le razionalità locali del pensiero umano.



Una tale spiegazione tuttavia non basta a controbattere il presupposto che ci interessa: chi considera la filosofia un passatempo edonistico non lo fa per aver osservato che i filosofi siano dei gaudenti – perlopiù non lo sono – ma per l'implicita convinzione che in questa epoca dell'umanità una omogeneizzazione filosofica sia ormai inutile e comunque fuori portata (e quindi che il piacere personale sia l'unico motivo valido per applicarvisi). Tale implicita convinzione può derivare da tre diversi presupposti para o pseudo-filosofici.
  1. che la realtà, ormai occupata dalla tecnica, sia pressocché interamente artificiale. Vi è già una razionalità dominante, omogenea, e si tratta del sapere economico-ingegneristico relativo appunto a come funzionano le cose e le persone (l'ingegneria si occupa delle cose, l'economia delle persone). Il tentativo di omogeneizzazione filosofico appare da questo punto di vista futile ed obsoleto.
  2. Che la realtà, ormai infinitamente complessa, non si lasci più comprendere. L'abitante di questo secolo deve adattarsi all'assurdità del mondo, e imparare a muoversi in tale assurdità in modo efficiente, rimediando con la flessibilità personale, lavorativa e psicologica alle contraddizioni che incontra. Il tentativo di omogeneizzazione razionale appare da questo punto di vista un delirio di megalomania.
  3. Che ognuno abbia diritto a pensarla come gli pare, vale a dire che ognuno abbia il diritto-dovere di costruire come gli pare la propria sfera valoriale e la razionalità delle proprie azioni. La valutazione si darà a posteriori (a seconda del successo di ciascuno nel raggiungere le proprie ambizioni), in base a criteri di efficacia, ma mai di merito. Da questo punto di vista la filosofia appare come un concentrato di invadenza e presunzione.

Questi motivi, benché divergenti, sono collegati: ad esempio l'(1) ed il (3) dipendono l'uno dall'altro: una razionalità economico-ingegneristica esterna fornisce le condizioni per la coesistenza di individui in modo funzionale e tutto sommato stabile anche a prescindere dalla divergenza dei loro modi di pensare. In altre parole: non fa alcuna differenza che il tipo che lavora nel cubicolo a fianco sia un nazista o un cinico, un epicureo o un metodista. L'organizzazione attenta del lavoro e la presenza di codici linguistici e comportamentali specifici e neutri vi permetterà di collaborare indipendentemente dalla condivisione di un orizzonte di senso. La (2) invece rappresenta una posizione di maggiore sofferenza: l'esigenza all'omogeneizzazione è ancora presente, e tuttavia non più possibile.


"Dovevamo ricordarci di sostituire i pezzi, man mano"


Alla luce di queste considerazioni, possiamo dunque esaminare nuovamente la gamma di reazioni comuni alla fatidica domanda.
L'appellarsi ad una comunità scientifica ricca e millenaria, alle grandi scoperte filosofiche del passato serve a poco: per rispondere adeguatamente al vero punto problematico della questione bisognerebbe poter dimostrare che tali scoperte filosofiche sono oggi utili, e questa e tutta un'altra questione.
Più onesto, benché rancoroso, è chi se la prende con il mercato del lavoro et similia. Almeno, dimostrando l'originale presunzione del filosofo si assume il compito di combattere la falsa razionalità in nome di una razionalità autentica, chiarisce la specifica forma di sofferenza della filosofia nella contemporaneità. Tuttavia, si deve osservare che fino a che il discorso rimane critico, non ha niente da opporre alla posizione implicita (2), che designa ogni fedeltà irriducibile all'intento filosofico come una forma di megalomania delirante.
Chi si mette a piangere possiamo anche capirlo, ma rimane comunque ridicolo (e una pessima pubblicità per la categoria. Smettila, codardo).



In sostanza, l'unica risposta possibile a chi domanda “perché studi filosofia”? È “perché tu no?”.
L'esigenza filosofica è incomprensibile ed ingiustificabile, se non come un'attività – forse l'unica – propriamente umana, non nel senso che è compiuta solo dagli uomini ma nel senso che è necessaria a renderci tali. Non si arriva alla dignità umana se non sviluppando l'esigenza di un orizzonte di senso non accettato acriticamente, sedimento quasi-geologico di cartoni animati, pubblicità, serie televisive, romanzi, seminari di self-managing et similia, ma messo in questione sistematicamente e dunque assunto come responsabilità esistenziale.
Non è un'attività strumentale né piacevole, ma l'abitudine a concludere da ciò che si tratti di una attività priva di senso dimostra i danno enormi che la latitanza della filosofia ha già compiuto.




Al giovane filosofo piangente consegniamo dunque il risultato di queste poche riflessioni:

  1. la cosa che stai cercando di fare è incompatibile con la maggior parte delle forme di vita che ti circondano. Socrate almeno aveva un gancio a Delfi (e più di uno ad Atene), tu probabilmente non sei nessuno. Devi venire a patti con questa realtà come prima cosa, e ricordarla anche quando sei a lezione o fra altri filosofi. Non illuderti nemmeno per un attimo che l'attività che hai scelto sia un “mestiere come tanti”, e valuta seriamente se hai voglia di sopportare sulla tua pelle una contraddizione acutissima e più vecchia di te.
  2. Omogeneizzazione della razionalità significa che, a differenza degli scienziati, non puoi accontentarti di lavorare con serietà e cura alle tue cose per poi scrivere i risultati e consegnarli alla razionalità di una pratica scientifica collettiva ed organizzata. Il concetto di “comunità scientifica” in filosofia non si applica, se non con una serie di corollari che ne destrutturano il senso (scuole, tendenze, raggruppamenti in polemica fra loro). Il concetto di totalità invece è irrinunciabile, quindi qualunque cosa tu faccia si riferisce ad una strategia complessiva di omogenizzazione (che tu te ne renda conto o no, aggiungerei). Non ti illudere nemmeno per un momento di studiare filosofia “per te”. Man mano che vai avanti, il problema sempre più acuto sarà trovare interlocutori.
  3. Vivi su una crepa bella grossa. I millenni di storia della filosofia garantiscono una certa inerzia, ma chi può dire che non stia per esaurirsi? Numerosi filosofi col tempo hanno iniziato a coltivare le convinzioni (1) e (3) che dicevamo prima, o anche la convinzione (2), e le hanno splendidamente argomentate. Si suddividono fra coloro che ancora pensano che la filosofia trasformata in qualcos'altro sia ancora possibile (ipocriti o opportunisti) o che essa sia definitivamente condannata (delusi e perlopiù malinconici, ma per lo meno onesti). Se intendi continuare, devi evitare assolutamente di cadere in uno di questi trabocchetti che ti renderebbero miserabile.
  4. Nietzsche scrisse che ogni vero filosofo combatte il proprio tempo. Le epoche nelle quali la funzione sociale, politica e spirituale della filosofia sembra decadere, sono in genere quelle in cui è più acuto il bisogno di pensiero filosofico. Oggi, rispetto ad un'epoca d'oro passata e a dispetto dell'apparente futilità della filosofia, il lavoro da portare a termine è mastodontico.
  5. Ricorda a tua zia che Marchionne ha studiato filosofia: in genere la cosa fa colpo sulle zie. (da evitare assolutamente se la zia ha lavorato o lavora in FIAT)


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