03/11/15

Ritorni

Per assomigliare a me stesso faccio sforzi incredibili.

A volte, a partire da carne mobile, costruisco una fisionomia: la studio sul dritto e sul rovescio e mi dico: si, è proprio così che sono, proprio così mi definisce lo sguardo. Devo solo stare attento, mi dico, a non cambiare postura. A mantenere gli slittamenti, le metamorfosi, abbastanza lontani dalla consapevolezza da non turbare il mio saldo senso di me, abbastanza vicini da poterli evitare in tempo.
La malafede è questione di spina dorsale, di tono muscolare. E' il gioco dei mascheramenti che scorrono gli uni sugli altri.

A volte, stanco dell'ambiguità del corpo, mi metto a costruire diagrammi. definisco assi teorici, direttrici, asintoti, a partire dai quali misurare intensità crescenti e decrescenti, deviazioni. Provo a tracciare la curva della mia evoluzione, eccomi salire e scendere secondo il variare dell'attenzione, della compassione, della lucidità. Tengo la contabilità degli affetti, dei saperi, dei doveri.

Quando i conti non tornano, ricorro all'Altro. Mi installo in un certo punto, osservo il mio posto nel gioco incessante delle classi, delle razze, dei continenti, delle generazioni. Qual'è il mio posto? Me lo diranno le relazioni oppositive, le sintesi, le fascinazioni. La sovrapposizione di definizioni classificatorie.

Se mi perdo, lascio che sia l'azione a riassumermi. Nessun residuo, nessuna giustificazione: d'altro canto nulla esiste al di là del gesto semplice, nitido, che riassume forma, traiettoria, oggetto, e al tempo stesso traduce in intensità pura l'estensione dei corpi, della teoria, delle relazioni.
La strategia cade a spirale, precipitata nell'atto di coraggio. Soluzione romantica.

Eppure, infine, non sono che me stesso, non importa se come carne formata, traiettoria esistenziale, punto definito del campo sociale, atto puro. Le interpretazioni non sono che la forma ultima della fede, e cercando il mio somigliante non faccio che declinare il mio "credo".
E, sempre, incontro l'insoddisfazione: il mio desiderio segreto è quello di trovare, a un certo punto, che non mi somiglio, da tutti i lati.
Che la carne mobile di colpo si squagli, fluendo in ogni direzione
Che gli assi teorici, vittime di una torsione gravitazionale, si pieghino su se stessi, ed intorno ad una contraddizione che buca lo spazio, inaugurando un'altra dimensione.
Che  l'Altro smetta di offrirsi come sponda salda per i miei confronti e classificazioni: che io possa inghiottire le classi e i continenti, e a mia volta farmi inghiottire. Ripiegare il campo sociale su se stesso, dirottando le circolazioni di senso che ne confortano la stabilità.
Infine, che l'azione mi porti oltre. Che io non debba riconoscermi in essa, né misurarmi (gesto sportivo, atto eroico o romantico), ma scomparire, consumato, assorbito (karma yoga, nihilismo attivo).

Un'altra circolazione è possibile, al di là dello spostamento che mi rimanda da una strategia alla prossima, e infine all'esaurimento: quella che fa convergere le mie strategie dal lato del loro fallimento, non più reticolo dell' identità ma spazio smisurato dell'orbita vuota. Vertigine del potenziale inesauribile, dell'annientamento definitivo. (soluzione mistica)

Come in ogni epoca, l'eresia agisce radicalizzando le pretese della fede. Spalancando il limite, sperimentando attraversamenti su tutti i lati.
Eppure, come in ogni epoca, l'eresia appartiene alla stessa orbita dell'ortodossia: una questione di sfumature distingue il segno vuoto dal segno pieno, il se dall'ego, e non di rado l'andirivieni di una oscillazione porta senza sosta dall'uno all'altro.
Questi li chiami: sbalzi d'umore.

Per assomigliare a me stesso faccio sforzi insinceri, trovando il godimento nella frustrazione, e la frustrazione nel godimento. Il primo limite della verità è il limite ultimo del soggetto, e questa, che è la più ovvia delle regole epistemologiche, non compare ormai da nessuna parte se non in forma derisoria di eufemismo:
(presa di distanza, prospettiva metodologica, framework teorico)

Ogni ricerca è il diagramma di uno smarrimento. 
Ciò che si perde lungo la via è più importante di ciò che si troverà.
Rientrando nella caverna si viene masticati.

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