Quello che ho da dire non è serio
Nulla può esserlo in questa epoca. Nulla di tragico resiste, se non nella forma neutralizzata dello spettacolo.
Allo stesso tempo, quello che ho da dire non è ironico
Per motivi igienici mi impongo di non dare di gomito, di risparmiare al lettore il sarcasmo. Non mi nascondo dietro una presa in giro.
Cosa rimane? Le due forme del paradosso: quella estroflessa della burla mortale, ironia del caso che è la realtà nella misura in cui buca le forme interpretative (Situazionismo! Surrealismo! Dada!), quella introflessa della crisi depressiva, doppio vincolo che non può andare né tornare né sparire.
Eccoci al dunque: tutto questo non mi riguarda (se riguardasse me, il tuo posto non potrebbe essere più comodo. Ecco come funzionerebbe: ti racconto quello che mi tocca, e puoi scegliere se concedere o meno l'empatia. Nel qual caso, spingi un tasto e fai di questa rappresentazione un componente della tua autorappresentazione. Potere in cambio di identità. E' il gioco della popstar, del youtuber o del fashion blogger. Io però non cerco potere, dunque non concedo identità.)
Allo stesso tempo, tutto questo non riguarda te (ecco il giro inverso: identità e potere. Io mi prendo l'identità mentre ti spiego dove sta il tuo potere di cambiare le cose. E' il gioco moralista del prete o dell'influencer, sempre uguale e impermeabile al mutare del tasso di tecnologia implicato).
Abbi pazienza, lo so che tutto questo ti annoia. In fondo non c'è nessun ricavo, non ti stai divertendo, e non c'è niente quì che legittimi la tua vita o esalti la tua possibilità di cambiarla. Tu (come funzione discorsiva, come "pubblico" nel doppio senso di cui sopra) non mi interessi.
(ciò non toglie che il mio godimento sta tutto in quel gesto che non posso costringerti né indurti a compiere, con il quale svegli la Feroce Bestia della tua Libertà.)
Eppure.
Cosa dico quando dico "tutto questo"? La semantica è giocare sporco, il tentativo di fissarla una volta per tutte incontra la giusta derisione di un esito ancora una volta paradossale.
"tutto questo" è pura pragmatica, è formula magica.
Io come carne e sangue non mi faccio scrittura. Scrivo sulla superficie di un corpo che non è ancora soggetto, benché faccia finta di esserlo. Non accumulo potere, non accumulo identità. Resto cosciente dell'interferenza del sistema faccia-bocca-voce sul sistema corpo-mano-segno. Articolo la variazione alla seconda: tastiera-rete come una possibilità di distribuzione infinita.
Non penso di essermi spiegato, ma cerca di agire come se l'avessi fatto.
Non c'è bisogno di metterci la faccia. Non c'è bisogno di forzare ognuno in direzione della sua propria insicurezza. C'è una consolazione che non è pacifica, che non è irregimentata, e risiede nella infinita possibilità ignota oltre i circuiti ai quali abbiamo fatto l'abitudine.
Non c'è bisogno di ricostruire un corpo, un'identità, un potere. I circuiti possono funzionare indipedentemente se smettiamo di pensae che sia nostra responsabilità, nostro merito il loro funzionare.
Ancora meglio: i circuiti funzionano già indipendentemente. Postumanità in atto, cui ancora non corrisponde una variazione del pensiero.
La fabbrica come macro-macchina esistente, trionfo della defecazione. La società come marciume, esito inflorescente della produzione spasmodica.
E non sarebbe nemmeno un risultato teorico, questo.
Si tratta del fottuto punto di partenza.
Il nodo di gordio non è tagliato né sciolto. Non è mai esistito. Nessuna conquista è possibile.
La vittoria del GesùCristo sulla morte è una invenzione didascalica. La vittoria del Buddha è la rivelazione che morte e vita non fanno poi tanta differenza.
Niente di nuovo, per Baruch.
La verità non si spiega. Risuona, "timpaneggia". Non ti fa più bello né più efficace né più felice. Povero piccolo essere umano, un ponte che si crede casa, un neurone che si crede pietra. Incapace di scorgere i miracoli, ipnotizzato da uno spettacolo che chiama realtà.
Che cos'è una crepa? E' un modo di cadere fuori dal piano di esistenza comune.
Certo che si paga un prezzo.
Talvolta è l'afasia
Talvolta è l'antiproduzione
Talvolta è la malattia, o l'euforia, o l'odio, oppure la repressione.
Ovviamente, il costo è alto, e più spesso si rimane in debito. E allora l'orizzonte della liberazione diventa una ossessione, una sostanza orientale da rincorrere. Il Dio di Spinoza che si fa Dio di Abramo, il suono dell'eternità si trasforma in puzza di carne viva. Il prezzo viene condonato in obbedienza.
Ma non credere: di nuovo si tratta di una mossa fasulla: potere in cambio di verità. Ancora meglio: chi condona non deve possedere la verità, è sufficiente che ti esenti dal cercarla per ottenere il potere. In fondo siamo tutti nel business degli alibi, no?
Non io, per esempio. E per esempio nemmeno tu. Vero?
Non mi faccio le pulci per insicurezza, e nemmeno vado da nessuna parte. Non supero ostacoli per dimostrare il mio valore, non ammazzo mostri per liberare principesse. Rimango sempre esattamente fermo, batto sempre sullo stesso punto. Godo degli ostacoli, mi offro in pasto ai mostri e lascio che le principesse si liberino da sole dai legacci della propria stirpe, scambino la propria purezza in postriboli bui con un pugnale, per tagliare con quello teste di tiranni.
Non consolo nessuno. Non c'è nessuna morale.
Sei solo uno dei tanti, uno sputo in faccia all'immenso, e alla fine muori. Questo scrivilo sul tuo bastone di maestro.
Non ci si organizza per prendere il potere, ma per distruggerlo.
Questo è tutto.
Che Avalokitesvara ci protegga.
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