02/05/17

Un esempio e alcune considerazioni filosofiche

La cosa bella dell'essere molto gentili con amici ed estranei è che quando qualcuno ti sta sul cazzo basta non fare nulla, e gli altri lo capiscono uguale.

Avrete certo notato che i salamelecchi insinceri sono tipici di quegli ambienti in cui un attacco diretto ha un costo sociale altissimo. In genere, i posti più civili (accademia, salotto alto borghese, gay comunity, circoli del cucito, corte signorile rinascimentale) sono quelli che regolano al rialzo le interazioni comuni, e regolano i contrasti in trasparenza. 
I posti in cui si danno spesso conflitti espliciti (esercito, banda di adolescenti, collettivo politico, luogo di lavoro) sono invece quelli in cui un'amicizia può nascere e svilupparsi in silenzio. Nell'uno e nell'altro ambito il linguaggio ha economia differente: significa "pace e concordia" nel primo caso, "presa di posizione" nel secondo, e ciò a prescindere dal "che cosa" viene detto. Una espressione di lode, in un contesto in cui le lodi rimangono inespresse, conta già come critica. E viceversa.

Ciò genera infiniti fraintendimenti: chi appartiene al primo tipo troverà barbarica l'esplicita litigiosità del secondo, e non vedrà la silenziosa intesa che la sottende. Chi appartiene al secondo, troverà falsa la pletora di complimenti del primo e assente il coraggio del confronto diretto. Tutto ciò per dire che un silenzio sta in rapporto organico con le parole che lo circondano, e a volte obbedisce a logiche affatto eterogenee. I fraintendimenti non sono mai casuali: essi denunciano l'adesione a precisi repertori comunicativi, e sono dunque per se sempre leggibili ad un livello più alto.

Di per se, niente ha significato, se non sullo sfondo di qualcos'altro,  o a partire da un tappeto d'invarianza. La domanda "che cos'è normale" non ha una risposta definitiva, ma non esiste un messaggio interpretabile a prescindere da una risposta qualunque. Ecco perché in assenza di una normalità globale è necessario stabilire piccole normalità locali. A loro volta, il giudizio relativo a tali normalità locali sarà rimandato di un livello, eccetera.
Una posizione pragmatica riguardo al linguaggio suggerirà di interpretare le forme linguistiche come atteggiamenti umani, forme di vita coevolutesi con le situazioni concrete che abitano:
nel nostro caso, il costo sociale del conflitto, o dell'espressione aperta di ammirazione.

In definitiva: il modo in cui parlo dice la verità su di me, più di quanto io pensi. E più parlo, più le linee fondamentali vengono a galla. Una pura banalità, a dire il vero, ma che rivela il fondamentale rovesciamento nel modo in cui parliamo dell'inconscio:
ciò di cui non sono cosciente è più fuori che dentro. Così il mio naso è in piena evidenza, ma solo per il mio interlocutore, così ciò che faccio sempre, la mia norma comportamentale, mi è trasparente quanto è leggibile per altri.


Per questo motivo, non vi è reale empatia - comprensione dei rapporti comunicativi che si instaurano con gli altri - senza la capacità di interpretare la realtà secondo molteplici linee di demarcazione figura-sfondo. Il taglio può essere effettuato in molti modi, e ognuno ha a sua volta senso in relazione alla forma di vita.
Di questa capacità non si può rendere conto compiutamente dentro il linguaggio: tutt'al più si potrebbe farlo in un metalinguaggio sufficientemente complesso. A quello in teoria servirebbe la filosofia.

Chi non fosse in grado di eseguire tale esercizio - o fosse in grado di eseguirlo "entro certi limiti" - porrebbe gli stessi limiti alla propria capacità di comprendere l'altrui prospettiva, e di conseguenza l'altrui forma di vita.

Dichiarare che un linguaggio non ha senso corrisponde a dire, più o meno coscientemente, che la corrispondente forma di vita è incompatibile con la propria e va distrutta.

Non esiste il linguaggio senza vita, e probabilmente viceversa.
L'esistenza di vita non umana implica l'esistenza di linguaggio non umano.
L'esistenza di linguaggio non umano implica l'esistenza di vita non umana.

L'aspirazione della filosofia è trascendere il linguaggio, dunque la vita e l'umano.

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