Ma andiamo con ordine
Tranquilli. E' un po' contorto, ma è tutta scena. Tante svolte e nessun incrocio. |
Innanzitutto, cari lettori, vi devo delle scuse. Sono stato prolisso, inutilmente facondo, e ultimamente anche un po' triste. Non era nelle mie intenzioni, ma certe cose succedono. E, come con tutte le cose che succedono, la cosa migliore è farne un pretesto per una azione: dopo tutto, se non siamo padroni di ciò che ci succede, siamo padroni di ciò che ne facciamo - l'ho letto da qualche parte, probabilmente era sulla bacheca di facebook di un mio amico che si fa di ketamina.
Il fatto è che inevitabilmente, nello scrivere, si incappa in una serie di lacci e lacciuoli. Ciò che si mette sul foglio esercita una certa forza gravitazionale verso ciò che rimane da scrivere, ne determina il modo ed anche il contenuto. Oppure, al contrario, una forza di esclusione: ogni apparizione è l'inizio di una rimozione. E' di questo che si compone un atteggiamento, di ciò che compare e di ciò che scompare ogni volte che si cerca di mettere tutto in chiaro.
Del destino derisorio di chi cerca di spiegarsi si può fare indifferentemente materiale da commedia o da tragedia. D'altronde, come è noto, gli equivoci e le menzogne sono la materia prima del mito, della narrazione, dell'identità e della politica.
All'opposto, l'atteggiamento tipico di intellettuali, scienziati, giornalisti, esperti e tecnici in genere può essere definito proprio a partire dall'ignoranza di questa basilare realtà, vale a dire del fatto che non è così ovvio controllare ciò che si dice. Tutte le categorie sopra dette, sulla base di una serie di assunti, regole, codici e procedure, sono in grado di esercitare un certo controllo sopra il proprio oggetto di studio. Cosa ci vuole? Basta un po' di attenzione al lessico, alla forma, ai dettagli e tutto sarà chiaro!
Secondo qualcuno, si tratta di un atteggiamento collegato alla modernità: a partire dall' enciclopedia di Diderot e D'Alembert in fondo non abbiamo cercato che questo, mettere nero su bianco tutto ciò che c'è. Riassumere le leggi fondamentali e le categorie generali, fare chiarezza, sbrogliare la matassa. Con calma, metodo ed intelligenza avremmo ad un certo punto rivelato il rivelabile. Non c'è motivo per cui attraverso un serio sforzo in buona fede non si possa arrivare alla verità.
Ora, potremmo ripercorrere tutte le delusioni, illusioni e batoste alle quali un tale atteggiamento è andato incontro, le svolte epistemologiche, eccetera. Però, per non annoiare nessuno, tagliamo dritto e andiamo subito al dunque: questo atteggiamento prima o poi fallisce. "e allora" voi mi direte "perché scienziati, tecnici, esperti, intellettuali eccetera continuano ad esistere? Non verrai a dirci che la scienza è una bufala, come un qualunque texano bigotto".
No, amici. Non voglio sostenere la falsità della scienza. Con le loro precauzioni, il loro metodo sperimentale, le loro riviste, le loro revisioni bizantine gli scienziati possono senza dubbio reclamare un buon diritto su alcune verità. Per essere precisi, su una classe di verità definita proprio dagli strumenti impiegati. Ed è una classe di verità che riguarda assai poco l'essenziale. Finché se ne rimangono nel loro campo (e le regole epistemiche del campo in questione non cambiano) gli scienziati, gli esperti ed i tecnici possono stare tranquilli. Il problema, tuttavia, è che mentre un atteggiamento ed una forma mentis come quella descritta è difficile tanto a formarsi che a perdersi, la necessità di oscillare fra spazi con regole epistemiche diverse è costante.
Così, spesso, spunta l'esasperazione. Come si potrà tollerare che, mentre nei laboratori di fisica applicata tutto è contabilizzato fino al micron, e i calcoli vengono replicati ancora ed ancora per verificarne l'esattezza, altrove, e per di più in luoghi nei quali si decide della vita delle persone, si continuino ad usare concetti vaghi, ideologici, bucati. Lo scienziato che sente parlare di equità e democrazia, ad esempio, si irrita se non può dare a tali parole un valore tecnico, preciso. Cosa in generale difficile a farsi. L'effetto che gli fa la politica, il marketing, la narrazione, è spesso quello di una grande e sconcia mistificazione. Vale lo stesso per i giornali, grandi eredi dell'illuminismo, che infatti da tempo fanno dello scandalo il loro marchio di fabbrica.
Quali sono gli effetti psichici di un tale atteggiamento? Principalmente due: rancore ed insicurezza. A seconda che ci si senta forti o deboli, coraggiosi o pavidi, si finisce per considerarsi paladini della verità in un mondo popolato di lestofanti, mistificatori e malafede diffusa, oppure per darsi la colpa di tutto e cadere in depressione (o nel cinismo più estremo).
Nei casi più gravi, l'esigenza irrisolta di risolvere l'essere umano una volta per tutte porta ad un salto di fede (vale a dire la rottura di quelle precauzioni e procedure di cui si compone la razionalità), poco importa se tale fede venga riposta negli alieni, nel comunismo, nel signore, nel buddhismo, in Giancarlo Magalli, nella dieta vegana.
La questione di oggi, di fronte all'ennesima ambivalenza, è dunque: come si sopravvive all'eredità della modernità e insieme alla complessità della realtà contemporanea? Come ci si comporta fra l'incudine della globalizzata, stratificata, mobilissima contemporaneità ed il martello del desiderio di chiarezza? Che ce ne facciamo, soprattutto noi che siamo addestrati a riconoscere (o almeno a ricercare) la verità di una serie di strumenti analitici che sembrano fatti apposta per indurci in errore o per essere rivolti masochisticamente contro noi stessi, illuminando sempre e solo l'impossibilità di capire?
La risposta che sponsorizziamo, passa come avevamo annunciato attraverso l'uso di alcune metafore curative. Per spiegare in che senso siano curative, dobbiamo riferirci a quanto detto all'inizio, e che per comodità ripetiamo.
Tutto quello che si scrive, si dice, si pensa, ha una componente ignota, rimossa. Di ogni fenomeno reale, oltre alla serie di concause e funzionamenti che conosciamo, dobbiamo poter considerare una serie di elementi e funzionamenti che non potremo conoscere, per ragioni di tempo, soldi, intelligenza, tecnologia eccetera. Il controllo totale della realtà, così come la "scoperta della verità", è un termine illusorio del nostro esercizio.
Ciò che dovremmo provare a fare, è ristrutturare il nostro modo di pensare in modo che ci sia permesso un certo tasso di razionalità e al tempo stesso un certo tasso di tolleranza verso il non (ancora) razionalizzabile.
Esempi di metafore del genere sono le metafore polemologiche, nelle quali a fare la parte dell'ignoto è il nemico. Elusivi, intenti a nascondersi, l'errore, il dolore ed il fallimento attendono che abbassi la guardia, che perdi concentrazione.
Le metafore polemologiche sono migliori delle metafore di "esplorazione" (es: le nuove frontiere della ricerca) dal momento che permettono di rendere conto anche di quelle situazioni in cui il rimosso torna a prenderci "alle spalle", e soprattutto ci insegnano immediatamente che il rimosso, l'ignoto non è una passività, ma invece una tessitura di pericolose attività insospettabili.
Un altro esempio, è la metafora del viaggio, opposta alla metafora della costruzione: essa insegna che un passo prepara il prossimo, ma solo nella misura in cui si può lasciarselo alle spalle. Non vi è conservazione, nel procedere, se non nella forma di un effetto che prosegue il passato senza incorporarselo. Il presentarsi di ostacoli non previsti non è colpa del viaggiatore: tranelli, bestie feroci, meraviglie e incontri con strane tradizioni locali vanno messi in conto. Arrivati in fondo, non ci sarà altra ricompensa che un viaggio di ritorno, o una tomba in zone lontane. Nella metafora edilizia che molti di noi vivono, invece, tutto deve essere contabilizzato: la vita appare come un progetto, una faticosa serie di operazioni decise in anticipo, dal reperimento dei materiali al dare loro forma, fino al momento in cui la vita sarà finita, e si potrà finalmente abitarla.
La verità da cogliere quì non è banale: non progettare la tua vita, attraversala, dal momento che essa non ti sopravviverà. Come è scritto sulla pagina facebook del mio amico che si fa di ketamina: la vita è quello che succede mentre non te ne accorgi.
Insomma: se non vuoi diventare matto, non cercare di scoprire la verità. Non cercare di costruire un mondo migliore. E soprattutto, non farti di ketamina.
Invece, gambe in spalla, e stai all'erta. Loro sono ovunque, e la meta è ancora lontana.
Coraggio.
Del destino derisorio di chi cerca di spiegarsi si può fare indifferentemente materiale da commedia o da tragedia. D'altronde, come è noto, gli equivoci e le menzogne sono la materia prima del mito, della narrazione, dell'identità e della politica.
All'opposto, l'atteggiamento tipico di intellettuali, scienziati, giornalisti, esperti e tecnici in genere può essere definito proprio a partire dall'ignoranza di questa basilare realtà, vale a dire del fatto che non è così ovvio controllare ciò che si dice. Tutte le categorie sopra dette, sulla base di una serie di assunti, regole, codici e procedure, sono in grado di esercitare un certo controllo sopra il proprio oggetto di studio. Cosa ci vuole? Basta un po' di attenzione al lessico, alla forma, ai dettagli e tutto sarà chiaro!
Tutto chiaro? |
Secondo qualcuno, si tratta di un atteggiamento collegato alla modernità: a partire dall' enciclopedia di Diderot e D'Alembert in fondo non abbiamo cercato che questo, mettere nero su bianco tutto ciò che c'è. Riassumere le leggi fondamentali e le categorie generali, fare chiarezza, sbrogliare la matassa. Con calma, metodo ed intelligenza avremmo ad un certo punto rivelato il rivelabile. Non c'è motivo per cui attraverso un serio sforzo in buona fede non si possa arrivare alla verità.
Ora, potremmo ripercorrere tutte le delusioni, illusioni e batoste alle quali un tale atteggiamento è andato incontro, le svolte epistemologiche, eccetera. Però, per non annoiare nessuno, tagliamo dritto e andiamo subito al dunque: questo atteggiamento prima o poi fallisce. "e allora" voi mi direte "perché scienziati, tecnici, esperti, intellettuali eccetera continuano ad esistere? Non verrai a dirci che la scienza è una bufala, come un qualunque texano bigotto".
No, amici. Non voglio sostenere la falsità della scienza. Con le loro precauzioni, il loro metodo sperimentale, le loro riviste, le loro revisioni bizantine gli scienziati possono senza dubbio reclamare un buon diritto su alcune verità. Per essere precisi, su una classe di verità definita proprio dagli strumenti impiegati. Ed è una classe di verità che riguarda assai poco l'essenziale. Finché se ne rimangono nel loro campo (e le regole epistemiche del campo in questione non cambiano) gli scienziati, gli esperti ed i tecnici possono stare tranquilli. Il problema, tuttavia, è che mentre un atteggiamento ed una forma mentis come quella descritta è difficile tanto a formarsi che a perdersi, la necessità di oscillare fra spazi con regole epistemiche diverse è costante.
Così, spesso, spunta l'esasperazione. Come si potrà tollerare che, mentre nei laboratori di fisica applicata tutto è contabilizzato fino al micron, e i calcoli vengono replicati ancora ed ancora per verificarne l'esattezza, altrove, e per di più in luoghi nei quali si decide della vita delle persone, si continuino ad usare concetti vaghi, ideologici, bucati. Lo scienziato che sente parlare di equità e democrazia, ad esempio, si irrita se non può dare a tali parole un valore tecnico, preciso. Cosa in generale difficile a farsi. L'effetto che gli fa la politica, il marketing, la narrazione, è spesso quello di una grande e sconcia mistificazione. Vale lo stesso per i giornali, grandi eredi dell'illuminismo, che infatti da tempo fanno dello scandalo il loro marchio di fabbrica.
Quali sono gli effetti psichici di un tale atteggiamento? Principalmente due: rancore ed insicurezza. A seconda che ci si senta forti o deboli, coraggiosi o pavidi, si finisce per considerarsi paladini della verità in un mondo popolato di lestofanti, mistificatori e malafede diffusa, oppure per darsi la colpa di tutto e cadere in depressione (o nel cinismo più estremo).
Nei casi più gravi, l'esigenza irrisolta di risolvere l'essere umano una volta per tutte porta ad un salto di fede (vale a dire la rottura di quelle precauzioni e procedure di cui si compone la razionalità), poco importa se tale fede venga riposta negli alieni, nel comunismo, nel signore, nel buddhismo, in Giancarlo Magalli, nella dieta vegana.
La questione di oggi, di fronte all'ennesima ambivalenza, è dunque: come si sopravvive all'eredità della modernità e insieme alla complessità della realtà contemporanea? Come ci si comporta fra l'incudine della globalizzata, stratificata, mobilissima contemporaneità ed il martello del desiderio di chiarezza? Che ce ne facciamo, soprattutto noi che siamo addestrati a riconoscere (o almeno a ricercare) la verità di una serie di strumenti analitici che sembrano fatti apposta per indurci in errore o per essere rivolti masochisticamente contro noi stessi, illuminando sempre e solo l'impossibilità di capire?
Autocritica. Il mio sport preferito. |
La risposta che sponsorizziamo, passa come avevamo annunciato attraverso l'uso di alcune metafore curative. Per spiegare in che senso siano curative, dobbiamo riferirci a quanto detto all'inizio, e che per comodità ripetiamo.
Tutto quello che si scrive, si dice, si pensa, ha una componente ignota, rimossa. Di ogni fenomeno reale, oltre alla serie di concause e funzionamenti che conosciamo, dobbiamo poter considerare una serie di elementi e funzionamenti che non potremo conoscere, per ragioni di tempo, soldi, intelligenza, tecnologia eccetera. Il controllo totale della realtà, così come la "scoperta della verità", è un termine illusorio del nostro esercizio.
Ciò che dovremmo provare a fare, è ristrutturare il nostro modo di pensare in modo che ci sia permesso un certo tasso di razionalità e al tempo stesso un certo tasso di tolleranza verso il non (ancora) razionalizzabile.
Condizione invero assai precaria... |
Esempi di metafore del genere sono le metafore polemologiche, nelle quali a fare la parte dell'ignoto è il nemico. Elusivi, intenti a nascondersi, l'errore, il dolore ed il fallimento attendono che abbassi la guardia, che perdi concentrazione.
Le metafore polemologiche sono migliori delle metafore di "esplorazione" (es: le nuove frontiere della ricerca) dal momento che permettono di rendere conto anche di quelle situazioni in cui il rimosso torna a prenderci "alle spalle", e soprattutto ci insegnano immediatamente che il rimosso, l'ignoto non è una passività, ma invece una tessitura di pericolose attività insospettabili.
Un altro esempio, è la metafora del viaggio, opposta alla metafora della costruzione: essa insegna che un passo prepara il prossimo, ma solo nella misura in cui si può lasciarselo alle spalle. Non vi è conservazione, nel procedere, se non nella forma di un effetto che prosegue il passato senza incorporarselo. Il presentarsi di ostacoli non previsti non è colpa del viaggiatore: tranelli, bestie feroci, meraviglie e incontri con strane tradizioni locali vanno messi in conto. Arrivati in fondo, non ci sarà altra ricompensa che un viaggio di ritorno, o una tomba in zone lontane. Nella metafora edilizia che molti di noi vivono, invece, tutto deve essere contabilizzato: la vita appare come un progetto, una faticosa serie di operazioni decise in anticipo, dal reperimento dei materiali al dare loro forma, fino al momento in cui la vita sarà finita, e si potrà finalmente abitarla.
La verità da cogliere quì non è banale: non progettare la tua vita, attraversala, dal momento che essa non ti sopravviverà. Come è scritto sulla pagina facebook del mio amico che si fa di ketamina: la vita è quello che succede mentre non te ne accorgi.
Role model: soldato e viaggiatore |
Insomma: se non vuoi diventare matto, non cercare di scoprire la verità. Non cercare di costruire un mondo migliore. E soprattutto, non farti di ketamina.
Invece, gambe in spalla, e stai all'erta. Loro sono ovunque, e la meta è ancora lontana.
Coraggio.
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