21/12/14

Sapere ed impotenza

C'era una volta, nemmeno tanto tempo fa, un adagio che diceva: "sapere è potere". Era un adagio famoso, dalle molte conseguenze. Si poteva usare per riferirsi al fatto che l'ignoranza porta a considerare naturali cose che in realtà non lo sono, e cadere così vittime di raggiri di individui più scaltri. Poteva significare anche che attraverso lo studio ci si assimila, pur provenendo da una classe sociale inferiore, ai rampolli di famiglie ricche ed educate. Poteva significare, persino, che attraverso la scienza e la tecnica - generi specifici di sapere - si sviluppa un vero e proprio potere sul mondo, la capacità di modificarlo e trasformarlo.



Il post di oggi riguarda la crepa che la contemporaneità forma fra questi due termini. Come quasi sempre, si tratta di un argomento enorme trattato con una certa fatuità, senza conclusioni nette e con l'aria di stare disegnando figure sull'acqua. Ma spero mi perdonerete, dal momento che l'altro atteggiamento possibile trattando di cose come queste è quello di un catastrofismo urlato e tutto sommato presuntuoso, atteggiamento da cassandre (e forse avremo anche il tempo di spiegare per quale motivo la cosa sarebbe fuori luogo, essendo tale spiegazione collegata al tema di oggi).


"Il Jobs Act non è una buona idea!"

La crepa, dunque, fra potere e sapere. Come abbiamo visto, vi sono almeno tre significati secondo i quali il sapere è potere. Cominciamo dal secondo, il più semplice, ovvero dal fatto che attraverso una certa educazione si riesce a conseguire la promozione sociale, scavalcando così la condizione dei propri genitori.
L'imbarazzo nel dover spiegare come mai ciò è falso deriva solo dalla piena evidenza della cosa: se c'è qualcosa che da tutte le parti non smettono di dirci, è che con la cultura non si mangia. Figurarsi se ci si arricchisce. Semmai, ci dicono i fini conoscitori dell'umano che sono i politici di destra e gli interpreti della cultura imprenditoriale italiana, essere colti è segno di spocchia, presunzione. Poca voglia di lavorare. Ad essere pragmatici, bisogna riconoscere che la laurea giusta non riguarda il sapere, ma il saper fare, e anche per metterla a frutto serve la proverbiale zampata in culo.

Grazie papà

Ciononostante, tale mito è ancora attivo, e ricade interamente sulle spalle di quei genitori che, cresciuti quando era ancora vero che una laurea facilitasse il percorso di inserimento in una vita confortevole e piccolo-borghese, proiettano questa cosa sui figli. Questa dinamica si chiama: bolla dell'istruzione. Solo che non è una "bolla" nel senso in cui erano "bolle" alcuni fenomeni del mercato finanziario, che crescevano e crescevano per poi "scoppiare" nel nulla. Questa bolla in particolare, è un bubbone, una grossa escrescenza piena di carne che va a male. La carne di tutti quelli che si ritrovano poi ad un certo punto a spasso.



Passiamo dunque al secondo punto: non farsi fregare. A tutta prima, potrebbe sembrare un ottimo argomento. Se sei sveglio e sai leggere la realtà, ecco che ti trovi su un piano favorevole rispetto a coloro che non sanno farlo. Ecco che dal sapere segue un potere, una maggiore efficacia nei movimenti, nelle decisioni...
Purtroppo, non è così. Perché in realtà la gamma di cose che puoi fare, se non disponi già di un potere, è limitatissima. E nessuna delle opzioni che si presentano è particolarmente furba. Per chiarire meglio, confronta la situazione in cui è in atto una truffa e quella in cui è in atto un ricatto. Nel primo caso, hai di fronte l'esca di un vantaggio imprevisto ed irrealistico, che dovrebbe indurti a pagare per poi rimanere con un pugno di mosche. Se sei sveglio, capendo che il vantaggio proposto è implausibile, non paghi e sei salvo: bravissimo!
Nel caso di un ricatto, qualcuno detiene un potere assoluto su qualcosa di cui hai necessità assoluta (o non puoi rinunciare), e detta le sue condizioni. Se sei sveglio, sei solo in grado di capire meglio e formulare con termini più esatti quanto sei fottuto. Bravo.



Terzo punto, ed apparentemente il più solido dei tre: attraverso il sapere tecnico-scientifico l'uomo è riuscito a compiere grandi cose. E' arrivato sulla luna. Ha fatto esplodere Nagasaki. Ha mostrato a miliardi di persone il culo di Rihanna. Difficile contestare tali conseguimenti: dietro ognuno di loro vi erano fior fiore di cervelli all'opera per cablare il pianeta, giocare con gli atomi, calcolare traiettorie...
Eppure, ancora una volta, devo venire a rompervi le uova nel paniere.
Perché ciascuno di quei cervelloni aveva un unico potere: quello di presentarsi in ufficio verso le nove, far sudare il cervello su numeri e grafici, e manipolare materiali rari, ed uscire verso le nove. Gli effetti reali e concreti delle loro ricerche e studi avevano l'unico scopo di accrescere il potere disponibile di chi aveva il potere: in genere industriali, politici e generali. Nonché Rihanna.



Per farla breve: abbiamo dimostrato che il vecchio adagio "il sapere è potere" è falso, come che lo si voglia intendere. Ma c'è di più. Nel tempo ha cominciato a valere la formulazione inversa: "il potere è sapere". (considero il potere definito in termini di ricchezza e status sociale. Se mi trovi vago rileggi il post "potere e potenza"). Facciamolo ancora una volta in relazione ai tre aspetti visti prima.

Il potere è sapere nell'educazione. I rampolli di famiglie della nuova aristocrazia, come è noto, non hanno bisogno di studiare, ma se lo fanno lo fanno alla grande: preferibilmente all'estero, e necessariamente in scuole costosissime e d'eccellenza nelle quali incontreranno amichetti che diverranno pure loro persone importanti. La selezione sociale avviene all'ingresso, non in uscita, e men che meno a seconda di quanto si è imparato. Il sapere - di qualità - deriva dal potere - dei genitori. Si chiama scuola - o università - di classe, e fa parte del progetto politico che sembra muovere ogni successiva riforma della scuola.



Il potere è il presupposto del sapere anche nella sfera dell'efficacia lavorativa e del successo personale. Per affrontare questo punto controverso, devo fare un esempio: vi basterà ricordare l'ultima volta che avete visto un giornalista qualunque chiedere ad un personaggio famoso - di successo - qualunque qual'è "il suo segreto". Ora, è evidente a chiunque che data la caratteristica della società - italiana ad esempio - è veramente difficile che il successo o la fama o la gloria o il denaro derivino dal conoscere un segreto. All'opposto, avere queste cose fa si che gli altri credano all'esistenza di un segreto. Il "segreto del successo", appunto. Si attribuisce ogni successo (casuale? Sospetto? Sostenuto da amicizie importanti?) ad un genere di sapere arcano, che di certo non fa parte di quel sapere che si studia o che si apprende sui libri o con l'esperienza (dato che alcuni dei personaggi di successo ai quali la domanda viene rivolta hanno evidentemente la cultura di una pietra e l'esperienza di un cavalluccio a dondolo). Un ulteriore esempio di questa "cultura" fantasmatica che dovrebbe informare il potere e non ne è che il miraggio è la lotta spettacolarizzata di giovani avvoltoi in carriera per diventare "apprendisti" di Briatore. Per apprendere cosa?

Epistemologia, apparentemente

Da ultimo, il potere ed il sapere tecnico scientifico. Qui un potere c'è davvero. E discende davvero da un sapere, come abbiamo visto. E tuttavia dal sapere di qualcuno dipende il potere di qualcun altro. Badate bene: non è questa una caratteristica accidentale o occasionale, ma la vera chiave di volta del concetto contemporaneo di sapere. I saperi non trasferibili, vale a dire quelli che non sono immediatamente utili a chi non li possiede, come quello del filosofo, che può essere enunciato ma che ognuno deve poi saper ripercorrere da se, o del maestro zen, o del letterato, sono immediatamente squalificati. Non servono a nulla, in un mondo in cui a dichiarare l'utilità di questo o di quell'altro è l'operatore unico ed universale, vale a dire l'imprenditore, in base alla razionalità che lo autorizza: la logica della produzione ed accumulo di ricchezza.
Siccome in qualche misura è vero che il sapere produce potere, è buona norma separare chi sa da chi può, impiegare i primi in condizioni di controllo assai stretto e separarli immediatamente dai risultati del loro sapere. Chi poi si occupa di un sapere che è indistinguibile dai suoi effetti, è tout court inutile, se non pericoloso, e va emarginato e deriso.
Deve avverarsi quell'adagio - che è naturalmente falso, ma che è un fermo impegno del sapere biopolitico far avverare - secondo cui un sapere è indipendente dall'uso che se ne fa. Tradotto: per dominare la rivoluzione permanente dei mezzi di produzione senza far vacillare il dominio sui mezzi di produzione bisogna rendere l'intelletto indipendente dai soggetti che si occupano di generarlo, farne una merce qualunque. Denaro - sapere - denaro.



Così siamo dunque arrivati a definire, per la correlazione sapere - potere, una torsione simile a quella che il capitalismo impone al rapporto fra merce e denaro.
Tuttavia, rispetto alla teoria marxista, il discorso di oggi è singolarmente più circolare. Lì il sapere, la teoria, aspirava non solo ad interpretare, ma a cambiare il mondo (e lo ha fatto, forse non nel modo previsto ma lo ha fatto, almeno per un po'). Qui, invece, una conseguenza del sapere come funziona il meccanismo è esattamente la consapevolezza che sapere come funziona non cambia una virgola.
Rende solo il tutto un po' più doloroso.

P.S. riguardo al contenuto di questo post si accolgono con entusiasmo critiche e smentite, da chiunque sappia come trasformare in potere un sapere senza vendere o affittare il sapere stesso.

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